Il regista di New York metteva da parte i morti viventi per indagare sull'oscura natura umana attraverso le azioni di una scimmietta cavia di un esperimento
All’uscita nel nostro paese, Monkey Shines – Esperimento nel terrore arrivava sulle ali delle stranamente entusiastiche recensioni americane, che si erano spinte a definire l’adattamento dell’omonimo romanzo di Michael Stewart addirittura “Il più bel film di scimmie dai tempi del primo King Kong”. Un complimento – e uno scrupolo – decisamente insoliti per il regista George A. Romero, al quale dopo il seminale La Notte dei Morti Viventi del 1968 erano stato riservati esclusivamente commenti denigratori, quando non di semplice noncuranza.
Proprio così, perché, come dice il titolo stesso, questo lungometraggio parla di scimmie, ma di un tipo particolare (vengono chiamate ‘cappuccine’), specializzato nell’assistenza ai disabili. Il tetraplegico in questione è Allan Mann (Jason Beghe), un ragazzone inchiodato sulla sedia a rotelle in seguito a un terribile incidente stradale. Un tempo era un atleta, adesso può muovere solo la testa e parlare. Ma è già qualcosa. Sono i nervi, però, ad andargli in pezzi.
La fidanzata l’ha mollato per il chirurgo che l’ha operato, la madre oppressiva ha deciso di trasferirsi in casa sua insieme a un’infermiera nazista, gli amici non si fanno più vivi. Tranne uno, Geoffrey Fisher (John Pankow), uno scienziato carico a mille che sta conducendo un esperimento segreto all’interno del suo laboratorio: estratti di materia cerebrale umana iniettati in una scimmietta più intelligente delle altre.
È chiaro che Ella, istruita a dovere da una bella ammaestratrice esperta del ramo, finisce presto a casa di Allan. L’inizio è promettente (l’animaletto lava, pettina, mette su la musica e cambia le pile della sedia a rotelle, restituendo cosi al ragazzo la voglia di vivere), ma col tempo si crea tra i due uno strano legame. Lei diventa gelosa e possessiva, fa terra bruciata attorno al protagonista; e lui, come contagiato da quel rapporto morboso, comincia a dare di matto (“Vedo con i suoi occhi, mi muovo con le sue forze”). Intanto, lo scienziato aumenta le dosi e, con esse, si moltiplicano le morti ‘incidentali’.
Allan sprofonda lentamente nell’abisso cerebrale che la cavia, ‘manomessa’ sul piano genetico e resa simile all’uomo, gli spalanca con le sue ‘attenzioni’: gli istinti e le emozioni primarie si (con)fondono così in una simbiosi inquietante e non troppo lontana dalla realtà indagata da certi studi di psicologia comparata. Insomma, la scimmia come globalità degli istinti umani, e quindi materiale cinematografico e simbolico per eccellenza (dal già citato King Kong a La Donna scimmia del 1964, passando per i contemporanei Link di Richard Franklin e Gorilla nella nebbia, sull’antropologa Diane Fossey).
Sta qui, nella giusta ambiguità del punto di vista, l’interesse preponderante di questo fanta-horror, che il regista deve avere molto amato; e con lui il coraggioso interprete Jason Beghe, al quale la scimmietta Boo / Ella pare abbia creato più di un problema sul set (si era davvero innamorata di lui …) durante le lunghe riprese. Naturalmente, non essendoci gli zombi, andò malissimo al botteghino.
Di seguito il trailer originale di Monkey Shines – Esperimento nel terrore: