Il regista spagnolo confeziona un horror con suggestioni latamente futuriste, denso di tensione e di mistero
Black Hollow Cage, terzo lungometraggio scritto e diretto da Sadrac González-Perellón, unisce influssi latamente horror a una patina sci-fi, delineando un’ambientazione suggestivamente collocata, se non nell’immediato presente, in un futuro assai prossimo.
La storia è incentrata su Adam (Julian Nicholson) e la figlia Alice (Lowena McDonell), che vivono isolati in una fascinosa casa di ferro e vetro immersa nei boschi. La madre è morta per una terribile tragedia – meglio chiarita solo sul finire -, mentre la ragazzina ha perso un braccio e perciò le viene costruito un arto meccanico che si muove grazie agli stimoli cerebrali di chi lo porta. Si tratteggia così una strana e alienata dinamica familiare: da una parte il padre è ritenuto colpevole della disgrazia, mentre un cane, Beatrice, che è dotato di un apparecchio che le permette di parlare e prende nella mente della bambina il posto della genitrice.
Decisamente teso e denso d’atmosfera, anzitutto a creare i presupposti per una percezione ansiogena e soffocante è la casa stessa in cui González ha intelligentemente scelto di collocare le riprese di Black Hollow Cage. Struttura minimale e brutista che alterna lo scheletro portante a una maggioranza di superfici di vetro, più che dare un’idea di calore domestico o di protezione, la magione dai limiti osmotici pare essere aperta a ogni aggressione, oltre che estremamente asettica. Inoltre, disseminata di mille porte nascoste nelle superfici glabre delle pareti metalliche e di corridoi che s’intersecano, essa dà un’idea di labirintico che aumenta ulteriormente il senso d’inquietudine.
La medesima angoscia è poi estesa all’antropologico, agli abitanti della casa, Adam e Alice, la cui convivenze sembra soffocare entrambi; i dialoghi tra loro, in maniera più diretta, ma anche i movimenti estremamente lenti, quasi faticosi, i reiterati esercizi della ragazzina con l’innaturale protesi, nonché l’utilizzo di campi lunghissimi, in cui attraverso le vetrate della casa sono inquadrati da lontano i personaggi mentre si spostano, tutto concorre a creare un’asfissiante stasi, un sentimento di fatale e passiva attesa, che anticipa e intensifica quello che capiterà successivamente.
Poi, in un crescendo si susseguono una serie di eventi arcani; in primo luogo un enorme solido compare dal nulla nella vegetazione. Non solo, in un lato della strana istallazione, che sembra un po’ la scultura minimalista di Tony Smith del 1962 intitolata evocativamente “Die”, si apre un piccolo varco ed al suo interno si concretano prima un foglio di carta con scritto “Non ti fidare di loro”, poi un lettore musicale che mette in guardia Alice e non solo …
Infine si sommano gli estranei, ossia la coppia di fratello e sorella, entrambi vagamente subdoli e che nella loro affettata remissività fanno pensare ai killer membri della setta di Charles Manson, sulla quale era incentrato l’ottimo Wolves at the Door, di cui Black Hollow Cage richiama alla lontana le atmosfere. A dare concretezza però più di tutto alle suggestioni a cui concorrono molteplici componenti, visive e narrative, è la performance del duo di giovani attrici che fronteggiano: la McDonell con una reiterata gestualità e l’alternarsi di apatia ed eccessi d’emotività incarna la fanciullesca controparte perfetta della lolitesca e infida Lysander.
In Black Hollow Cage, González sfrutta quindi in maniera sapiente una location densa di fascino, un’ottima recitazione e un immaginario latamente sci-fi per creare un’intensa tensione e confezionare un horror diverso e inedito.
Di seguito trovate il trailer: