Il regista canadese riesce nel non semplice compito di trasporre in modo convincente il racconto breve di Stephen King e Joe Hill, aiutato dalle prove di Rachel Wilson e Patrick Wilson
Portare uno scritto di Stephen King sul grande schermo è sempre un’operazione difficile (la nostra riflessione sui suoi altalenanti adattamenti), ancor più se si tratta di un racconto di appena una qualche decina di pagine. Di certo ne era consapevole il canadese Vincenzo Natali, già autore del claustrofobico Cube – Il cubo (la recensione), quando è stato convocato da Netflix per girare la trasposizione di Nell’Erba Alta (In the Tall Grass).
“Gli adattamenti di King meno fedeli al testo di partenza sono spesso stati i più interessanti” ha dichiarato alla conferenza stampa del Festival di Sitges, dove il film è stato presentato in anteprima. E se lo Shining di Stanley Kubrick è sempre il metro di paragone in tal senso, un bel po’ meno lo è ad esempio la recente rivisitazione ‘libera’ di Pet Sematary di Kevin Kölsch e Dennis Widmyer (la nostra recensione). Difficile quindi prevedere l’esito.
Ebbene, Vincenzo Natali ci riesce meglio di alcuni multimilionari blockbuster americani approdati nei cinema, su tutti IT Capitolo Due (la recensione) di Andy Muschietti e La Torre Nera (la recensione) di Nikolaj Arcel. E l’impresa è ancor più rimarchevole vista la scarsa varietà di scenari previsti in origine.
La storia, infatti, è pressoché interamente ambientata in uno sconfinato campo di erba alta appunto, come il titolo suggerisce. Diversi personaggi, in diversi momenti, vengono attirati al suo interno per incontrarsi – e scontrarsi – tra loro in quello che diviene un inestricabile labirinto naturale dal quale sembra impossibile uscire. Per primi sono Becky (Laysla De Oliveira), una ragazza incinta, e suo fratello Cal (Avery Whitted) ad essere inghiottiti all’interno dell’insidiosa distesa verde. I due sono in viaggio attraverso gli Stati Uniti, quando sono costretti a fermarsi nel mezzo del nulla perché Becky ha un attacco di nausea. Scesi dalla vettura, però, sentono le grida del piccolo Tobin (Will Buie Jr.), che urla loro di essersi perso tra la fitta vegetazione.
Così, i due si addentrano per salvarlo, ma vengono rapiti a loro volta da una forza sinistra che li disorienta e li divide rapidamente. I ragazzi sono disperati, cercano di ricongiungersi e, soprattutto, di trovare una via d’uscita, ma è apparentemente impossibile. E non è tutto. Scopriranno presto di non essere soli là dentro e che la minaccia peggiore viene da un altro dei ‘prigionieri’ del campo, che peraltro ‘si muove’. Tra gli altri volti noti, faranno prima o poi la loro comparsa tra le fronde anche Rachel Wilson (Mistery, Alaska) e Patrick Wilson (Aquaman).
Dall’altro, il regista riesce a sprofondarci in questo ‘non luogo’, a farci provare la medesima ansia, la paura, la spossatezza e la sensazione di straniamento che dominano Becky, Cal e gli altri protagonisti.
Anzitutto, a contribuire a questa percezione è la regia volutamente erratica di Vincenzo Natali. Il modo in cui l’occhio della sua telecamera cattura e definisce gli spazi e i personaggi in relazione ad essi, ci porta a smarrirci. Come se l’orizzonte costruito dalle inquadrature e dai movimenti di macchina non mirasse a descrivere una dimensione tangibile, ma a confondere, fornendo alla spettatore delle coordinate impossibili, irrazionali. Noi, esattamente come i protagonisti, immersi nell’erba alta – di giorno e di notte – perdiamo presto il senso dell’orientamento e rimaniamo spaesati in questo dedalo metafisico.
Ad acuire il disorientamento è poi un attentissimo uso del sonoro. Fruscii, echi, riverberi, voci che si intersecano, danze tribali in sottofondo e urla disperate, tutto rimbomba nell’intricato labirinto di lunghissimi fili verdi, animati da qualcosa di sinistro e ineffabile. Tale effetto è ben più efficace se il film è visto in una sala cinematografica, dove grazie a un potente impianto surround i suoni colpiscono i sensi dai punti più differenti, confondendoci ulteriormente.
Terzo film originale di Netflix tratto da una storia di Stephen King dopo Il Gioco di Gerald di Mike Flanagan (la recensione) e 1922 di Zak Hilditch (la recensione), Nell’Erba Alta conferma, un po’ a sorpresa (ma nemmeno troppo, visti i nomi coinvolti), come forse la giusta dimensione per questo tipo di trasposizioni sia quella insolita offerta dal colosso dello streaming. Purtroppo, come detto, l’impossibilità di fruirne al cinema (almeno in Italia), non aiuta a godere appieno di tutte le potenzialità del film, ma chi cerca un buon prodotto per una serata da brividi certo non avrà di che lamentarsi.
Di seguito trovate il trailer di Nell’erba alta, già disponibile nel catalogo di Netflix dal 4 ottobre: