Josh Brolin contro la cultura della fama: serve più anima, meno Instagram
28/04/2025 news di Stella Delmattino
L'attore ha anche elogiato il collega Denzel Washington

Josh Brolin ne ha viste di tutti i colori. Dai combattimenti contro minacce di livello Thanos nell’MCU fino all’esplorazione di drammi più intensi, la carriera dell’attore abbraccia decenni e generi diversi. Ma nonostante i riconoscimenti, i successi al botteghino e una bravura recitativa indiscussa, oggi una domanda gli rimbomba nella testa… Che fine ha fatto l’arte della recitazione?
In una recente intervista con Graham Bensinger, Brolin non si è trattenuto riflettendo su come l’industria sia cambiata, e non in meglio.
«Questa professione, al giorno d’oggi, quando vedi qualcuno che si avvicina e dice “Voglio diventare un attore”, nove volte su dieci vogliono sapere come diventare famosi. Mentre ai miei tempi, si trattava di farsi le ossa e del tipo di lavoro che stavi svolgendo.»
Per Brolin, il problema non è solo che i nuovi arrivati vogliano il successo, ma che abbiano una concezione distorta di cosa sia il successo. È cresciuto circondato da attori ossessionati dalla tecnica, dalla narrazione e dalla verità emotiva.
Oggi vede una generazione più interessata ai badge blu di Instagram e ai tappeti rossi che a immergersi nei ruoli che ti lasciano lividi nell’anima.
«Sempre più raramente trovi attori che vogliono semplicemente buttarsi nella zuppa, entrare insieme nel calderone.»
“Buttarsi nella zuppa” significa abbracciare il caos disordinato e collaborativo che rende il cinema così magico. Vuole attori pronti a lottare con il materiale, a vulnerabilizzarsi, a sfidarsi a vicenda e a uscirne trasformati, non chi insegue un marchio di lifestyle.
Certo, qualcuno potrebbe liquidarlo come un classico lamento generazionale. Brolin è un “figlio d’arte“, figlio dell’attore James Brolin, e anche lui ha dovuto scrollarsi di dosso l’accusa di vivere di rendita.
Sul set de I Goonies, era già immerso nello studio del metodo. Talmente immerso che persino Spielberg dovette dirgli di alleggerirsi un po’.
Ma quando Brolin parla delle interpretazioni che lasciano il segno, non snocciola incassi record. Guarda ad attori come Denzel Washington:
«Guardo al lavoro che ha fatto Denzel e rimango assolutamente sbalordito. Quando gli scende quella lacrima in Glory – Uomini di gloria, oppure in Cry Freedom – Il grido della libertà, un altro grande film. Così tanti grandi film che quando li guardo rimango in soggezione. In assoluta soggezione. Come fai a farlo?»
Questo è il livello che Brolin considera il vero traguardo. Non la fama. Non i follower. Ma la forza cruda e innegabile di una performance che ti colpisce attraverso lo schermo.
E forse una speranza c’è ancora. Quando il collega di Dune, Timothée Chalamet, ha vinto il suo Oscar, non ha ringraziato il mondo della fama, ma ha detto che voleva essere uno dei grandi. Ed è proprio quella mentalità che Brolin sostiene.
In un mondo ossessionato dalla viralità, Brolin invoca un ritorno alla trincea, dove avviene il vero lavoro. Dove gli attori ancora sudano, sanguinano e sentono per i loro ruoli.
E se non sei disposto a “buttarti nella zuppa”, forse è il momento di chiederti perché tieni ancora il cucchiaio in mano.
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