Azione & Avventura

I colori dell’anima: la recensione del film animato diretto da Naoko Yamada

La regista torna sulle scene con un'opera che esplora le connessioni invisibili tra spiriti affini

Totsuko fissa spesso la sua compagna di classe, Kimi, ma sta davvero guardando lei o il bagliore bluastro che emana dal suo interno? In I colori dell’anima – The Colors Within, l’ultimo lungometraggio animato della regista Naoko Yamada, le aure sono reali – o almeno lo sono per Totsuko, studentessa in una scuola cattolica femminile di Nagasaki, che non vede solo le persone, ma anche le loro luci interiori.

È questo che la spinge verso Kimi, ragazza silenziosa dai lunghi capelli e dal comportamento riservato, il cui colore è diverso da tutti gli altri, qualcosa di unico che la rende impossibile da ignorare

Dopo l’epico racconto storico The Heike Story, la Yamada torna a immergersi nelle vite interiori degli adolescenti, come già aveva fatto con Liz e l’uccellino azzurro e La forma della voce, affrontando il senso di appartenenza e la ricerca dell’amicizia, ma questa volta con un tocco ancora più delicato e sfumato.

La forma della voce affrontava il tema dell’alienazione scolastica in modo diretto, mentre Liz e l’uccellino azzurro esplorava con discrezione la distanza emotiva tra due ex amiche costrette a convivere nella stessa orchestra. I colori dell’anima – The Colors Within si spinge ancora oltre, cercando di percepire le connessioni invisibili che uniscono le persone, siano esse la fede, l’amicizia, la gravità o il magnetismo

Non è un caso che quando Totsuko e Kimi formano quasi per caso una band, White Cat Hall, il terzo membro del gruppo, Rui, suoni il theremin, uno strumento che si suona senza toccarlo, dove il movimento nell’aria si trasforma in suono, un simbolo perfetto della capacità di entrare in risonanza con gli altri senza contatto fisico diretto.

C’è un elemento di sinestesia e un tocco di spiritualità in  I colori dell’anima – The Colors Within, ma ciò che emerge con più forza è la compassione della Yamada per il mondo interiore dei giovani, raccontato attraverso piccoli gesti e dettagli quotidiani che per chi li vive significano tutto.

La sua narrazione non è fatta di esplosioni di colori, ma piuttosto di acquerelli che si diffondono su un foglio, morbidi e organici, come le emozioni che crescono e si mescolano senza schemi prestabiliti

Lo stile di Yamada sembra quasi dialogare con quello di Atsuko Ishizuka (Goodbye, Don Glees!) non solo perché entrambe raccontano storie di adolescenti, ma perché condividono una visione del tempo come qualcosa di fugace, un’entità che sfugge tra le dita proprio nell’età in cui ogni giorno può segnare un cambiamento irreversibile.

La scuola sta per finire per Kimi e Totsuko, le responsabilità dell’età adulta incombono, eppure le emozioni che stanno affrontando sono più grandi di qualsiasi preoccupazione per il futuro.

Naoko Yamada ha sottolineato che l’ambientazione di Nagasaki non è casuale, la città è il centro del Cattolicesimo giapponese, ma per la regista rappresenta anche una cultura profondamente accogliente, un luogo perfetto per raccontare il percorso di tre adolescenti che faticano ad accettarsi e che temono il giudizio degli altri.

Il cuore pulsante di I colori dell’anima – The Colors Within è proprio l’incapacità dei protagonisti di vedere il proprio colore interiore, la paura di essere sbagliati, la sensazione di non essere abbastanza fino al momento in cui, con la loro performance finale, finalmente trovano la forza di esprimere se stessi senza paura.

Un film che comprende profondamente la paura della perdita e la forza necessaria per desiderare davvero.

Di seguito trovate il trailer di I colori dell’anima – The Colors Within, nei nostri cinema dal 24 febbraio:

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Published by
Gioia Majuna