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Voto: 7.5/10 Titolo originale: The Conversation , uscita: 07-04-1974. Budget: $1,600,000. Regista: Francis Ford Coppola.

Dossier: La Conversazione, Coppola dirige Gene Hackman in un vortice di paranoia e sospetto

03/03/2025 recensione film di Francesco Chello

Ricordiamo il leggendario attore recentemente scomparso attraverso uno dei suoi film più famosi. Grande thriller drama psicologico, che parte dal mondo della sorveglianza per scoperchiare un incubo di tensione ed inquietudine, affrontando con largo anticipo tematiche sempre più attuali

Gene Hackman in La conversazione (1974)

Cinematograficamente parlando, la notizia di questi giorni non può che essere la scomparsa del grande Gene Hackman. Avvenuta, tra l’altro, in circostanze ancora da chiarire, il suo corpo è stato ritrovato insieme a quello della moglie Betsy Arakawa ed uno dei cani di famiglia. E’ probabile che nelle prossime settimane sapremo di più sulla causa di queste morti, intanto fa un po’ specie che un uomo giunto alla veneranda età di 95 anni non abbia la possibilità di lasciare questa terra nella serenità di cause naturali.

Ad ogni modo, non siamo qui per investigazioni o speculazioni – non sarebbe nostro costume d’altronde – ma per celebrare un pezzo da novanta. Se è evidente che la magia del cinema poggia (non solo, ma tra le varie cose) sugli attori, sono dell’opinione che gli attori siano tutti importanti. Ma che ce ne siano alcuni più importanti di altri. E Gene Hackman era uno di quelli.

Hackman non è mai stato un divo nel senso classico del termine. Non aveva un volto scolpito nel marmo o una voce impostata. Non era un attore che cercava di piacere, non aveva bisogno di strafare per farsi notare. Nessuna esibizione fuori dallo schermo, nessuna posa da star. Nessuna aura da leggenda vivente, sebbene probabilmente (anzi, sicuramente) lo fosse.

Interprete dal talento enorme, di categoria superiore, quella a cui appartengono quegli attori che quando entrano in scena diventa impossibile guardare altrove, a cui basta comparire per far spostare la storia su di lui, uno che non si dimentica mai. Abilità che non si insegnano e che pochi possiedono davvero.

Gene Hackman in Il braccio violento della legge (1971)Concreto, senza fronzoli, ruvido, viscerale, profondamente autentico, versatile e di forte presenza scenica, capace di alzare l’asticella di qualsiasi ruolo gli venisse affidato. Una faccia dura, con un ghigno sarcastico spesso pronto ad emergere. Un viso per così dire ‘comune’, di un uomo più o meno calvo (a seconda dell’età e persino degli accenni di un riportino strategico), eppure lo schermo lo conquistava con la prepotenza tipica di chi al suddetto talento abbina in egual misura carisma e personalità.

E non solo nei ruoli da protagonista (in cui, chiaramente spaccava), ma anche in quelli di supporto in cui influiva sul livello di tutti – non a caso uno dei suoi due Oscar arriva proprio come attore non protagonista. Per non parlare delle parti da antagonista in cui sapeva metterti a disagio come pochi, perché come dico sempre per fare il cattivo devi essere bravo.

Eugene Allen Hackman nasce nel 1930 in California, cresciuto tra le difficoltà economiche della Grande Depressione e una famiglia sfilacciata, con un padre che se ne andò quando lui aveva tredici anni, ha imparato presto che la vita non fa sconti. Si arruola nei Marines a sedici anni, mentendo sull’età e passando diversi anni in giro per il mondo, poi una serie di lavori qualunque, prima di capire cosa volesse fare davvero. Il suo non è stato un percorso lineare verso Hollywood.

La recitazione arriva come una rivelazione tardiva, un’idea testarda più che un sogno coltivato sin dall’infanzia. Dopo una lunga gavetta teatrale accanto ad un altro futuro gigante come Dustin Hoffman. Quel teatro che lui stesso dirà essere un rimpianto, assorbito totalmente dal cinema avrebbe voluto dedicare più tempo al palco in modo da poter espandere la propria arte e restare in contatto con ciò che la recitazione significasse per lui.

Quanto all’amicizia con Hoffman, pare che qualcuno (che immagino stia bruciando tra le fiamme dell’inferno) li considerasse troppo ‘brutti’ per sfondare nel mondo del cinema. Un limite inesistente che diventa stimolo ulteriore nel costruire la propria carriera su un talento solido e innegabile, senza bisogno di scorciatoie.

Gene Hackman ha ricoperto ruoli di rilievo in praticamente qualunque genere cinematografico, attraversando almeno quattro decadi sulla cresta dell’onda come uno dei nomi più talentuosamente affidabili di Hollywood. Per ogni film menzionato si rischia di dimenticarne altri, ma qualche titolo random lo nominerei, anche solo per rafforzare il concetto.

Senza snocciolare generi, registi e colleghi che altrimenti intasiamo il traffico dell’internet. Dopo una serie di esperienze minori, il primo successo arriva nel 1967 con Bonnie and Clyde (Gangster Story) in cui interpretava Buck Barrow, fratello del celebre rapinatore Clyde, ruolo che gli vale la prima nomination all’Oscar.

Negli anni 70 il suo periodo d’oro, nel 1971 conquista la statuetta dell’Academy destinata al miglior attore protagonista grazie a quel capolavoro che risponde al nome di The French Connection (Il Braccio Violento della Legge), vera svolta della carriera sua e del regista William Friedkin; Hackman è sostanzialmente monumentale, supera le resistenze iniziali (sia proprie che di chi riteneva non fosse la scelta giusta) e consegna il suo Popeye Doyle alla storia del cinema.

Nello stesso decennio veste anche i panni di Lex Luthor in Superman (1978), dando al personaggio una vena ironica e sopra le righe che lo rende villain rilevante. Nel mezzo roba come Prime Cut (Arma da Taglio, 1972), The Poseidon Adventure (L’Avventura del Poseidon, 1972), Scarecrow (Lo Spaventapasseri, 1973), Night Moves (Bersaglio di Notte, 1975), French Connection II (Il Braccio Violento della Legge n° 2, 1975), Bite the Bullet (Stringi i Denti e vai, 1975), A Bridge too Far (Quell’Ultimo Ponte, 1977).

gli spietati film 1992 Gene HackmanDecennio in cui mette a segno anche un cameo di pregio, nei panni dell’eremita cieco nel masterpiece della risata Young Frankenstein (Frankenstein Junior, 1974); a questo proposito cito Mel Brooks che in questi giorni ha ricordato l’attore attraverso l’aneddoto del suo ingaggio inusuale, dopo aver saputo da Gene Wilder del progetto insistette per poterne fare parte sia per mettersi alla prova con la commedia che per il voler prendere parte a qualcosa che si preannunciava memorabile.

E ancora, gli anni ’80 con Superman II e IV (1980 e 1987), Under Fire (Sotto Tiro, 1983), Uncommon Valor (Fratelli nella Notte, 1983), Target (1985), Hoosiers (Colpo Vincente, 1986), Bat*21 (1988), Mississippi Burning (1988) o The Package (Uccidete la Colomba Bianca, 1989).

Passando ai ’90 attraverso film tipo Narrow Margin (Rischio Totale, 1990), Class Action (Confitto di Classe, 1990), Unforgiven (Gli Spietati, 1992, con cui conquista il secondo Oscar della sua carriera, il sopracitato da attore non protagonista), The Firm (Il Socio, 1993), Geronimo: An American Legend (1993), Wyatt Earp (1994), The Quick and The Dead (Pronti a Morire, 1995), Crimson Tide (Allarme Rosso, 1995), Get Shorty (1995), Extreme Measures (1996), The Chamber (L’Ultimo Appello, 1996), Absolute Power (Potere Assoluto, 1997), Twilight (1998), Enemy of the State (Nemico Pubblico, 1998).

Qualcosa anche nel primo lustro degli anni ’00, da The Mexican, Heist (Il Colpo), The Royal Tenembaum e Behind Enemy Lines del 2001, a Runaway Jury (La Giuria) del 2003. E, chiaramente, non ho elencato tutto. Così come non farò l’elenco di premi e candidature, una lista che oltre ai due Oscar include quattro Golden Globe (di cui uno alla carriera), due BAFTA ed un Orso d’Argento.

L’ultima apparizione sullo schermo è del 2004 con Welcome to Mooseport (Due Candidati per una Poltrona) prima del ritiro dalle scene quando Gene Hackman decide di chiudere con la recitazione senza grandi proclami, senza spazio per ripensamenti, con la stessa concretezza con cui aveva vissuto tutta la sua carriera.

Non ha cercato il canto del cigno, non si è fatto consumare dal business come alcuni dei suoi colleghi. Ha semplicemente voltato pagina, scegliendo una vita lontana dai riflettori con la stessa discrezione che lo ha sempre contraddistinto, dedicandosi alla scrittura e alla tranquillità di chi sa quando è il momento di smettere.

Un’uscita di scena perfettamente in linea con l’uomo e con l’attore. A proposito di scrittura, ben cinque romanzi pubblicati tra il 2000 ed il 2013 di cui nessuno mai tradotto in Italia, mentre un paio di anni dopo qualche nuovo contatto con l’industria cinematografica quando ha fatto da voce narrante ai documentari the Unknown Flag Raiser of Iwo Jima (2016) e We, The Marines (2017).

La Conversazione film posterCome altre volte in questi casi, l’intenzione è quella di rendere omaggio all’artista attraverso uno dei suoi lavori. Per l’occasione ho scelto di parlare di The Conversation (La Conversazione), film diretto da Francis Ford Coppola nel 1974. Con un tempismo involontario, visto che a dossier iniziato ho scoperto che Lucky Red nel frattempo aveva deciso di riportarlo in sala dal 10 al 16 marzo in versione restaurata in 4K proprio nel ricordo della scomparsa di Gene Hackman.

La Conversazione nasce da un’idea originale di Francis Ford Coppola, autore quindi di soggetto e sceneggiatura, lui che era reduce da una cosuccia come quella pietra miliare de Il Padrino che aveva fatto innamorare pubblico e critica nel 1972 e grazie al quale arrivano i fondi (e la fiducia) per un progetto la cui genesi risale alla seconda metà degli anni ’60 e che diversamente forse non avrebbe mai visto la luce.

Il filmmaker di Detroit dirà di aver seguito diverse fonti di ispirazione, partendo da un confronto con Irwin Kershner su spionaggio e tecniche di sorveglianza all’avanguardia (come il microfono shotgun a lunga distanza che si vede ad inizio film), passando per il romanzo Der Steppenwolf ((Il Lupo nella Steppa, 1927) per quanto riguarda il tratteggio del protagonista ispirato a sua volta all’esperto di tecnologia di sorveglianza Martin Kaiser (ingaggiato poi come consulente), arrivando a Blow-Up di Michelangelo Antonioni in riferimento al tema del reato scoperto più o meno casualmente attraverso il supporto della tecnologia, fondendo il concept di quel film sul mondo della sorveglianza audio e della registrazione del suono.

Antonioni che viene omaggiato dalla presenza del mimo (Robert Shields, vero mimo di strada a Union Square) e dalla sequenza delle foto alle ragazze che si specchiano sui vetri del pulmino.

Coppola si infila nel filone cospirazionista imbastendo un teso thriller psicologico che vive di dettagli minimi: un nastro riavvolto all’infinito, un filo di voce che si insinua nella coscienza del protagonista, il suono metallico di una porta che si chiude. Non c’è spettacolo, non ci sono twist plateali e ripetuti, un unico colpo di scena alla fine che cambia la prospettiva della vicenda.

Il vero focus è la paranoia che cresce lentamente, il sospetto che scava dall’interno, fino a non lasciare più scampo. La riuscita del film passa per l’abile costruzione di una atmosfera opprimente, fatta di lunghi silenzi, suoni distorti ed ambientazioni scarne. Un contesto in cui l’uso intelligente del sonoro (ad opera di Walter Murch nel doppio compito di sound designer e supervisore al montaggio) assume un ruolo chiave: le registrazioni sono frammentarie e manipolabili, specchio di una verità che diventa a quel punto soggettiva.

Nel pieno degli anni dello scandalo Watergate, La Conversazione si rivela un film in qualche modo profetico (come detto, era stato concepito tempo addietro), un’incursione nel lato oscuro del controllo e della sorveglianza. Per certi versi, oggi ancora più attuale, nell’epoca della vigilanza digitale e della manipolazione dell’informazione in cui probabilmente non servono più le microspie ma siamo noi stessi a cedere i nostri dati, le nostre parole, i nostri pensieri ad una condivisione globale e collettiva.

La paranoia di Harry Caul è diventata la nostra quotidianità. E Coppola, con il suo cinema diretto, cinico ed essenziale, ce lo stava raccontando con anni d’anticipo.

John Cazale in La conversazione (1974)The Conversation presenta anche una quota importante di drama, quella che poggia sulle spalle del suo protagonista. un esperto di sorveglianza ossessionato dalla privacy e dal senso di colpa. Incaricato di registrare la conversazione tra due giovani in una piazza affollata, Harry Caul si convince che le parole intercettate possano condurre a un omicidio.

Evento che lo trascina in una spirale paranoica, più cerca di trovare risposte, più la sua realtà si deforma. Il film esplora il suo tormento interiore ed il confine sottilissimo tra colpa e innocenza, il ritratto perfetto di una lenta e inesorabile discesa nel dubbio. Harry non è un eroe né un cattivo. Non è neanche un protagonista nel senso tradizionale del termine.

È un uomo chiuso in sé stesso, ossessionato dal controllo, ma condannato a non averne mai abbastanza. Che non vuole essere visto e che fa della sorveglianza il suo mestiere. È il migliore nel registrare, amplificare ed isolare suoni, ma il suo talento è anche la sua maledizione. Sacrificando ogni parvenza di affetti e vita privata socialmente accettabile.

E qui, naturalmente, veniamo al nostro uomo. Hackman offre una performance straordinaria, distante dai suoi ruoli più sicuri. Il suo Harry Caul è un uomo introverso, fragile, consumato dalla solitudine. Gene è perfetto nel restituire la fragilità di un uomo che si crede padrone del proprio mondo, ma invece è solo un ingranaggio in un meccanismo più grande di lui.

Il finale, con quella stanza devastata in cerca di una microspia forse inesistente, è l’ultima beffa: Caul, il maestro dell’ascolto, si ritrova in balia di un silenzio che sa di sconfitta. Indossa un impermeabile grigio, si rifugia nella musica jazz (per la quale Gene impara a suonare realmente il sax) e costruisce barriere emotive, ma la sua paranoia finisce per portarlo all’implosione.

L’attore di San Bernardino è la prima scelta di Francis Ford Coppola (che inserisce qualche dettaglio autobiografico nella stesura del protagonista) proprio per il suo aspetto ordinario, non eccezionale. Non è stato facile entrare nel personaggio per un Hackman solitamente persona estroversa e dal look casual, gli sforzi per calarsi nel ruolo (da lui stesso definito ‘stitico’) lo hanno reso lunatico ed irritabile sul set; per perfezionare l’aspetto di un uomo solitario e socialmente complicato, dall’esistenza stanca, invecchiata ed infelice, si fece crescere dei baffi che avessero un aspetto patetico, abbinando una postura con spalle curve, scelse occhiali spessi e inadatti e fece scegliere un guardaroba vecchio di almeno dieci anni in cui risalta un immancabile impermeabile anonimo.

Nonostante diversi premi e candidature molti hanno ritenuto un affronto la sua mancata nomination agli Oscar come miglior attore protagonista, a differenza di Coppola che non venne nominato come miglior regista per una norma (non so se ufficiale o ufficiosa) del regolamento che impediva di essere candidato due volte nello stesso anno ma per due film diversi (nel 1974 arriva la candidatura con Il Padrino – parte II).

Frederic Forrest, Robert Shields e Cindy Williams in La conversazione (1974)Gli stessi Coppola ed Hackman menzioneranno spesso La Conversazione tra i preferiti del proprio curriculum, così come Allen Garfield che nel film interpreta il fastidioso rivale (con evidenti complessi di inferiorità) Bernie Moran per il quale era stato originariamente scelto l’eccentrico Timothy Carey che nel momento in cui venne informato che non sarebbe stato pagato extra per qualsiasi ciclo di post-produzione dei suoi dialoghi, insistette per ottenere nel suo accordo contrattuale che il produttore Fred Roos dovesse falciare personalmente il suo prato: inutile dire che fu licenziato e la produzione interrotta fino a quando non venne scelto il sostituto.

Garfield è solo uno dei membri di un prezioso cast di contorno che include il malinconico John Cazale in uno dei cinque film girati in carriera tutti candidati all’Oscar come miglior film. La parte di Harrison Ford era inizialmente destinata ad essere poco più di una comparsata, scritta come un assistente d’ufficio; trovando che il personaggio fosse monodimensionale, Ford scelse di interpretarlo come gay (una scelta ‘rischiosa’ nel 1974) e di acquistare personalmente un abito di seta verde per novecento dollari.

Inizialmente scioccato dall’outfit durante le prove, e dopo averne discusso col suo attore, Francis Ford Coppola restò talmente impressionato da questa interpretazione da decidere di espandere il ruolo in un personaggio di supporto, diede al personaggio un nome (Martin Stett) e fece in modo che lo scenografo Dean Tavoularis creasse un ufficio che riflettesse il suo orientamento. Teri Garr (che lo stesso anno prendeva parte al già citato Frankenstein Junior) ha una sola ma incisiva scena nei panni del love interest del protagonista, cameo non accreditato per Robert Duvall.

Nel cast di La Conversazione anche Richard Hackman, il fratello di Gene, che interpreta sia il prete nel confessionale che una guardia di sicurezza, oltre a sostituire il fratello in una ripresa di spalle in cui non era disponibile. Mentre il piccolo Gian Carlo Coppola, figlio del regista, compare nella scena in chiesa, e Billy Dee Williams è l’uomo col cappello giallo che compare nel parco.

Francis Ford Coppola dirige con uno stile controllato, minimale, intimista, optando per riprese lunghe e movimenti di macchina lenti che rafforzano il senso di sorveglianza e claustrofobia. Senza dimenticare soluzioni visivamente creative come quella adottata nella prima scena all’interno dell’appartamento di Harry in cui la telecamera è in una posizione fissa e non segue il protagonista mentre entra ed esce dalla visuale, quando va al suo divano la telecamera gira a sinistra e rimane fissa, una serie di movimenti che imitano quelli di una telecamera di sorveglianza, come se lo spettatore stesse spiando Harry.

Stesso discorso nell’ultima inquadratura del film, la mdp si sposta da destra a sinistra e si tira indietro, proprio come farebbe una camera di sorveglianza. E qualche escamotage furbo ma funzionale, come quello che riguarda la registrazione su nastro al centro della vicenda che è frutto, in realtà, di due diverse registrazioni della stessa frase lette dallo stesso attore, con particolare enfasi su una parola diversa nella seconda rispetto alla prima.

Il montaggio originale arrivava alla bellezza di quattro ore e mezza, tra le svariate scene tagliate la sottotrama sui problemi tra Harry ed i suoi vicini ignari del fatto che lui fosse il proprietario dell’edificio (particolare che era nel primo draft della sceneggiatura), situazione che porta ad un confronto col suo avvocato, ma anche una in cui convince la nipote a non scappare di casa.

Harrison Ford in La conversazione (1974)A causa di divergenze creative durante le riprese, il direttore della fotografia Haskell Wexler è stato sostituito da Bill Butler, che aveva già lavorato con Coppola in You Are a Big Boy Now (Buttati, Bernardo!, 1966). La sequenza di apertura (estremamente difficile da girare) di Union Square di Wexler, tuttavia, rimane nel film e imposta il tono appropriato di paranoia che attraversa tutta la visione. David Shire ha firmato lo score musicale, composto prima della produzione e suonato agli attori prima delle loro scene in modo che potessero calarsi nello stato d’animo adatto.

The Conversation è stato prodotto dalla The Directors Company, società di produzione fondata da Francis Ford Coppola e dai colleghi registi William Friedkin e Peter Bogdanovich. In associazione con la Paramount Pictures, con un accordo che permetteva ai registi di realizzare qualsiasi film volessero per meno di 3 milioni di dollari (in questo caso circa 1 milione e 600 mila dollari).

Secondo titolo prodotto dalla compagnia, nonostante il successo ha portato a tensioni tra Coppola e Friedkin a cui non piacque in quanto riteneva fosse un rip-off di Blow-Up (1966). Un episodio che insieme alla successiva uscita di Daisy Miller (1974), diretto da Bogdanovich e fallito al botteghino, finì per portare alla scomparsa prematura della società.

Le riprese de La Conversazione sono iniziate alla fine del 1972, il film è stato girato a San Francisco, in California, a Union Square e nel neonato American Zoetrope Studio di Francis Ford Coppola, uno dei primi grandi registi americani della sua generazione ad aprire uno studio fuori Los Angeles.

Alcune scene extra (tra cui quella in cui Harry scopre che il nastro è stato rubato) sono state girate successivamente sul set di Chinatown. Porta a casa numerose candidature e diversi premi tra cui la Palma d’Oro a Francis Ford Coppola, il New York Film Critics Circle Award a Gene Hackman, tre National Board of Review Award e due BAFTA tecnici come montaggio e sonoro.

Uno dei tasselli di rilievo in una filmografia di spessore come quella lasciataci in eredità da un fuoriclasse del cinema di nome Gene Hackman.

Di seguito trovate il trailer italiano di La Conversazione, nei nostri cinema dal 10 al 16 marzo in versione restaurata:

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Shawn Roberts in Resident Evil The Final Chapter (2016)
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